Mattia, cosa ti ha lasciato il Monserra?
«Il ricordo di stagioni fantastiche, dove abbiamo lottato più volte per vincere i playoff di Prima Categoria e trionfato nel 2016 in Seconda riportando la squadra dove meritava. Sabato rivedrò tanti amici e sarò lieto di salutarli».
Con quale mister hai legato di più in quell’avventura?
«Tutti mi hanno dato qualcosa, ma se proprio devo fare un nome cito Mauro Buratti che rappresenta un bel mix tra competenze tecniche e umane. In generale, tutte le persone che ho avuto modo di conoscere al Monserra mi sono rimaste nel cuore: stiamo parlando di un ambiente familiare, serio e dotato di un grande capitale umano».
Il tuo cuore è biancorosso…
«Per forza, visto che le uniche tre società in cui ho militato sono accomunate da quei colori. Metà carriera l’ho trascorsa al Monserra e l’altra metà alla Castelfrettese. Non dimentico nemmeno la Sampaolese, dove ho trascorso un’intensa esperienza nel 2016/17».
Cosa rappresenta per te la Castelfrettese?
«Il club dove sono nato e cresciuto calcisticamente e dove mi sono creato tante solide amicizie. Dopo aver svolto l’intera trafila nelle giovanili, debuttai in prima squadra nel 2004: mister Maghetto Ferretti mi lanciò in una partita contro l’Urbino. Sono venuto su con l’idea che il calcio facesse parte della mia vita grazie a mio padre Walter, da sempre in dirigenza, con il contributo di mio zio Carlo, bandiera biancorossa. Fin da piccolo seguivo non solo le partite, ma anche gli allenamenti della Castelfrettese».
Nell’ultima avventura in Promozione, datata 2013/2014, tu giocavi…
«Fu un campionato particolare, in cui emersero innumerevoli difficoltà che compromisero il percorso. Ero presente pure nel 2019, quando retrocedemmo in Seconda Categoria. Non fu piacevole vedere la Castelfrettese tanto in basso, ma decisi di tenere duro e di non abbandonarla nel momento più buio. Insieme ad altre figure insostituibili di questo club, presenti in dirigenza, nello staff tecnico e nella rosa, ci rimboccammo le maniche per provare a riportarla ai livelli che merita».
Come è avvenuto il passaggio da difensore a viceallenatore?
«All’inizio della scorsa estate mi trovai di fronte a una scelta combattuta, ma rivelatasi giusta. Entrare nello staff tecnico è stato il modo migliore per compiere il passo indietro da calciatore. Ringrazio il presidente Bonacci, tutta la dirigenza e Yuri Bugari che mi offrirono questa interessante opportunità. Ricopro un ruolo che ha la sua importanza e che ha richiesto un periodo di adattamento per comprenderne le dinamiche».
Come ti trovi con mister Bugari?
«In perfetta sintonia. Mi ha colpito la metodologia con cui ha impostato il lavoro fin dai primi giorni, dispendiosa, ma ottimale per raggiungere i traguardi prefissati. Mi sento di emulare il suo metodo non solo in ambito calcistico, ma anche lavorativo perché garantisce risultati».
Qual è il rapporto con il resto dello staff?
«Ottimo sia con il prof Simonetti che coi preparatori dei portieri Gambadori e Bachieca. tutti mi hanno accolto con disponibilità. Mi sono messo al loro servizio con l’umiltà d’imparare il più in fretta possibile e di entrare in perfetta sintonia nel gruppo di lavoro».
E con i giocatori?
«Modificare il rapporto con chi era stato mio compagno fino a qualche settimana prima ha richiesto tempo. All’inizio non capivo bene come agire nello spogliatoio, quando intervenire o quando rimanere in silenzio. Negli ultimi mesi ho travato il giusto equilibrio e ho capito certe dinamiche grazie agli stessi ragazzi che hanno agevolato il mio compito senza mettermi in difficoltà».
Ti senti pronto per una panchina tutta tua?
«Nel breve termine non penso. Magari continuerò la gavetta, poi in futuro chissà che non diventi allenatore a tutti gli effetti. Adesso sono concentrato solo a chiudere la stagione al meglio e di conquistare l’obiettivo per il quale lavoriamo dal 18 agosto».
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